5/18/2022 0 Commenti Della decontestualizzazione, della massificazione e dello svuotamento della storiaLiliana Segre e Chiara Ferragni "Se Chiara Ferragni venisse al Memoriale della Shoah molti adolescenti si interesserebbero e verrebbero a vedere cosa è successo a me e a tanti altri" - Liliana Segre Quello che Chiara Ferragni, o un qualsiasi influencer x, potrebbe restituirci della Shoah è il semplice contenitore vuoto, lo sfondo di un set fotografico che ha al centro griffe, filtri e trucchi. Sarebbe un ennesimo tentativo di banalizzazione della realtà, di riduzione della complessità della storia a una unidimensionalità piatta e colorata. Per consegnare il passato nelle mani delle nuove generazioni, abbiamo bisogno di investire sulla scuola e su quelle figure relegate sempre più ai margini della società: i docenti, i ricercatori, gli artisti. Ritenere che la nostra società abbia bisogno di una Chiara Ferragni per sensibilizzare i giovani alla storia dimostra che la cultura è sempre più massificata e proiettata verso il basso. Basterebbe pensare ad Assurbanipal, a Pisistrato, ad Alessandro Magno, ad Ottaviano Augusto, a Federico II, a Lorenzo de’ Medici, ecc., per capire di quali strumenti avrebbe bisogno il mondo: di intellettuali, di studiosi, di esperti in ogni campo del sapere. Chiara Ferragni è immagine, è moda, in tutte le sue accezioni, è pubblicità, è mercato, è illusione, è caducità. Chiara Ferragni non è cultura, non è approfondimento, non è ricostruzione, non è contenuto, non è causalità, non è consequenzialità. La storia non si può mettere in vetrina, né tantomeno può essere testimoniata e salvata da orde di giovani in fila per un ‘selfie’ in un campo di concentramento/di sterminio. Chiara Ferragni non saprebbe spiegare cosa sia davvero un campo di concentramento, potrebbe posare, sorridere - forse, potrebbe anche abbozzare un sorriso di tristezza e di raccoglimento -, fare una diretta Instagram, e cercare di sostituirsi a chi ha dedicato una vita agli studi, a chi cerca disperatamente, in un paese come l'Italia, di ridare spazio alla cultura e alle ragioni storiche, in una società che ha sempre più urgenza di verità e di bellezza, quelle che resistono al tempo e che arricchiscono gli animi. No, Chiara Ferragni non può raccontare Auschwitz. Auschwitz non può essere banalizzata, deve essere spiegata.
Un giorno, su una barca in mezzo al mare, leggevo "L'idiota" di Dostoevskij. Una mia amica, sulla stessa barca in mezzo al mare, leggeva/sfogliava "Vogue". Alla domanda "Cosa state leggendo?", la mia amica rispose: "Nulla, leggiamo. Tanto un libro o Vogue sono la stessa cosa". Io guardai il mare, immenso, sterminato, e pensai: "No, non sono affatto la stessa cosa. Il mio libro è il mare, immenso, sterminato. Il tuo 'Vogue' è il costume, una moda che passerà, che si consumerà. Io ho, dentro la testa, il mare. Tu hai, fuori dagli occhi, un costume”. Poi mi alzai, e mi tuffai in acqua. P.S. E ricordiamoci che potrebbe esistere, in una qualsiasi altra parte del mondo, un influencer y, antisemita, razzista (e chi più ne ha, più ne metta), che potrebbe fomentare le masse in senso contrario. Quindi, sostituendo gli influencer, cambierebbe anche il significato della visita, a dimostrazione del fatto che i comportamenti indotti e passivi sono non solo manipolabili, ma sono soprattutto pericolosi. A partire da questi meccanismi apparentemente banali, infatti, vennero forgiate quelle stesse masse che accettarono e assecondarono la logica perversa e criminale dei campi di concentramento/di sterminio. La Storia, quella con la S maiuscola, insegna sempre. F.G.
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AutoreF. G. Archivi
Gennaio 2024
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